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MARC ROIG BLESA – EDUCAZIONE COLLETTIVA, CORSO DI FOTOGRAFIA IN 10 MINUTI, – WERKER MAGAZINE 2014/2015, PARTE DI UNA SERIE DI 10 SERIGRAFIE
COLLEZIONE SAVINA PALMIERI

FINALISTI CONCORSO GD4PHOTOART 2015, VINCITORE ÓSCAR MONZÓN

Joan Fontcuberta su óscar Monzón, vincitore
óscar Monzón ha conquistato la ribalta internazionale con il progetto Karma, nel quale lanciava sguardi da paparazzo e da pubblicitario sulla cultura dell’automobile. La sua proposta enfatizzava il sortilegio di una tecnologia che agiva simultaneamente come oggetto di desiderio, feticcio e simbolo di potere, ma anche come contenitore di identità e di esperienza.

In Maya, Monzón prosegue la sua personale sociologia visiva, occupandosi ancora di pubblicità e identità come scenari fittizi deformanti la nostra esperienza vitale. Ma in questo caso Monzón sposta i suoi riferimenti critici verso scenografie proprie del cinema di fantascienza: la fantascienza che immagina mondi distopici di moltitudini solitarie e sottomesse al controllo di occhi che tutto vedono. Transeunti che sembrano automi incapsulati nel tempo, rispondono uno dopo l’altro all’appello dei richiami commerciali, gli annunci pubblicitari sono gli altoparlanti di un consumismo che formatta attitudini e comportamenti e, tra le righe, disseminano le patologie della mitologia capitalista: mercantilismo, alienazione e disumanità.

Sede della mostra

Fondazione MAST
Via Speranza, 42

Il pensatore francese Michel Serres scrive con cinismo che dobbiamo amare la pubblicità, malgrado «diffonda falsità, esageri, riempia lo spazio di clamori mediocri e brutte immagini, faccia passare cose abominevoli per ambrosia divina, si moltiplichi secondo le stesse leggi di un’epidemia, intossichi e menta sempre». Sì, dobbiamo amarla, perché la pubblicità è una promessa di felicità, come la religione o la politica, ma a differenza di queste non nasconde il suo intento di persuasione e mostra le sue carte. Sono queste carte svelate e soprattutto i loro effetti manifesti, il punto dove Maya mette il dito nella piaga.

Guardando al contesto delle proposte fotografiche, qui non c’è volontà di fare da specchio, ma di essere radiografia e bisturi. A partire da scenari urbani del tutto reali, Monzón estrae tensione e inquietudine modellando una nuova versione della street photography che si andrebbe a collocare agli antipodi del documentarismo selvaggio di un Garry Winogrand, ma anche che trascende le forme teatralizzate di un Philip-Lorca diCorcia, o di un Jeff Wall. La vertigine e l’incubo tingono questo viaggio introspettivo sul “lato oscuro” della realtà rilucente delle apparenze. Uno scenario fatto di atmosfere dense e luci drammatiche contorna le istantanee di “un mondo felice”, ma di felicità disumanizzata, che Monzón ci mostra fusa nell’apocalissi.

Sede della mostra

Fondazione MAST
Via Speranza, 42

La Fondazione MAST ha sede in un complesso di grande qualità architettonica inaugurato nel 2013 e progettato dallo Studio Labics, che ha portato a termine un riuscito intervento di trasformazione di un’area industriale dismessa nella prima periferia bolognese. Nella PhotoGallery vengono allestite, sotto la curatela di Urs Stahel, mostre di autori storici e contemporanei, che si propongono di far conoscere al grande pubblico la diversità e la rilevanza della fotografia del lavoro quale documentazione del passato, testimonianza viva del presente e anticipazione del futuro.